« …La crisi finanziaria ci ha avviato verso una rivoluzione energetica e culturale, infatti questa non è solamente una crisi finanziaria. Lasciando da parte i cambiamenti climatici e la geopolitica dell’energia, si può supporre una successione di almeno tre crisi: finanziaria, economica e culturale. La prima, quella finanziaria, come abbiamo imparato, rende tutti un po’ più poveri: le persone perdono i loro risparmi in azioni o titoli e i beni immobili diminuiscono le rendite. La seconda crisi nasce dalla mancanza di liquidità alle imprese ed è quella economica.
Si perdono posti di lavoro e con essi la prospettiva di avere un futuro migliore del presente. Non è ancora la depressione, si può ancora avere la speranza che il sistema si auto-rigeneri e che si trovino altri lavori e altre prospettive in nuovi mercati che si apriranno. Il fatto ad esempio che si assista ciclicamente a crisi in alcuni settori in concomitanza ad innovazioni tecnologiche potrebbe far pensare che anche questa volta la situazione si risolverà in alcune chiusure di attività e nella nuove aperture. Che, insomma, potrebbe comportare solamente un rinnovamento di alcune imprese.
Ma la vastità del cambiamento porta all’ultima crisi, quella culturale, che poi è quella che conduce le persone alla depressione. La depressione è il punto di non ritorno. Il punto che si può oltrepassare solo cambiando radicalmente il presente inventandosi nuove strade. E bisogna avere il coraggio e la forza per inventare queste nuove strade riuscendo ad immaginare nuovi sogni e, soprattutto, nuovi valori.
La depressione è la paralisi dell’azione, l’attesa che qualcun altro risolva una situazione che non siamo in grado di gestire autonomamente. Perché per cambiare bisogna riconoscere che la strada finora seguita non era quella giusta, i valori su cui si fondava il significato delle nostre azioni non erano quelli condivisibili dagli altri…. »
« … Per uscire dalla depressione servono anni di terapia. E gli psichiatri sanno che spesso non si riesce a far tornare le persone agli stessi livelli di attivismo e di azione che avevano prima della crisi. Quindi, se per uscire dalla crisi serve la capacità di sognare qualcosa di diverso e di impegnarsi per il cambiamento e se queste persone non riescono a vedere altro che il proprio presente, il vero rischio è quello di dover aspettare che nuove generazioni arrivino sulla scena.
Per desiderare il futuro e per impegnarsi nella sua costruzione non si deve aver paura di osare e si deve saper sognare collegando questi sogni all’azione presente. Non magia e attesa di eventi miracolosi, ma impegno e voglia di avventura.
Non serve andare a cercare gli errori per puntare il dito contro alcuni dei colpevoli. Serve qualcuno che indichi la direzione del cambiamento. Ci sarà poi un momento anche per i giudizi di merito e per individuare e, forse, perdonare i colpevoli. Non ora. Non prima di aver iniziato a costruire qualcosa di diverso. Come è avvenuto in Sud Africa alla fine dell’apartheid. …. » (Claudia Bettiol, Governare la crisi, 2009)
COMMENTA L'ARTICOLO
«Governare la crisi italiana dal 2014»